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cento uffizi d’una fiera di campagna, di borgo, e magari di città.
Il Bottegone non era stato sempre così grande; ma neanche Roma è stata fatta in un giorno. Il signor Demetrio aveva incominciato dal poco, ereditando dai suoi vecchi una modesta bottega da pizzicagnolo, colle sue mezzine di lardo appese alle pareti, coi suoi prosciutti e salami pendenti dal soffitto, i suoi formaggi neri e lucenti negli scaffali, i suoi bariglioni di aringhe affumicate e di acciughe in salamoia, i suoi barattoli di funghi e d’olive sott’olio. A poco alla volta, crescendo gli avventori, s’era allargato, aggiungendo un negozio di droghiere, poi ottenendo l’appalto del sale e dei tabacchi. I tabacchi avevan chiamati i cerini, e i cerini le candele, per casa e per chiesa: le droghe avevano chiamati i confetti e i liquori; i liquori avevano chiamato il vino. Ma questo era stato relegato in cantina, a cui si andava passando dal cortile, per non far confusione; e assaggiassero, là dentro, e bevessero a tutto spiano, senza dar noia alle botteghe di strada. Perchè oramai non si trattava più d’una bottega sola, ma di tre, contigue, comunicanti l’una coll’altra.
Così via via, crescendo il lavoro, cresceva la manìa invaditrice del signor Demetrio; il quale lasciandosi i vini dietro le spalle, col loro ingresso separato dalla banda del cortile, aveva sulla fronte della piazza occupato un quarto stanzone, poi un altro dalla parte della strada, e un altro e un altro ancora, sempre d’anno in anno aggiungendo nuove corde al suo istrumento, nuovi generi al suo traffico, e nuove porte, tutte decorate nel medesimo stile, al suo Bottegone; che ormai con questo nome era conosciuto e salutato da tutti. Fustagni e bordati, cotoni, mezzi cotoni e pannine, biancheria, trine, fettucce, aghi e perline, lana, refe, fazzoletti da naso e di collo, cravatte, fisciù, perfino merletti, erano venuti ad occupare due stanzoni, uno verso la strada, l’altro verso il cortile; un nuovo stanzone accoglieva la cartoleria e la libreria, per grande co-