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variazioni notevoli, piuttosto all’aumento che al ribasso, il che era buon segno, non essendo ancora avviato l’affare del porto di Taramello. Oh diavolo! ancora niente di combinato! e perchè? I soliti ritardi, le solite lentezze di tutti i grossi affari, che stentano, come le grandi corazzate, a prender l’abbrivo sullo scalo. Gli studi, del resto, erano compiuti da un pezzo; si aspettava un certo parere dei Lavori Pubblici; ancora uno o due mesi di noie, e tutto era all’ordine. Allora si sarebbero vedute le azioni della «Nuova Esperia» prendere anch’esse l’abbrivo.
— Ne ho piacere; — aveva esclamato il signor Demetrio, assentendo ripetutamente del capo. — Faccio voti per una pronta risoluzione di tante difficoltà. Si capisce, i grossi affari ne incontrano sempre. La burocrazia ò sempre la stessa. E nel consiglio di amministrazione ci sei, non è vero? —
No, non ancora. Il conte Attilio lo confessava, arrossendo unn pochino. Ma in verità, non ci sarebbe stato da arrossire; e le ragioni ch’egli adduceva del non essere ancora nel consiglio di amministrazione della «Nuova Esperia» avrebbero potuto meritargli i complimenti d’ogni savia persona. Le elezioni erano state fatte per l’appunto in dicembre; e prima che si tenesse l’assemblea, il principe Andolfi gli era entrato a discorrere di quella nomina. Ma per essere eletto occorreva possedere un certo numero di azioni, e a quel certo numero il conte Attilio non si sentiva di arrivare. I lavori del porto di Taramello erano in vista bensì, ma ancora lontani sull’orizzonte, e lontani per conseguenza i profitti della società, che dovevano far raddoppiare il valor delle azioni. Ora il conte Attilio non voleva impegnare il denaro in un titolo che non faceva ancora miracoli. Aspettiamo, aveva detto, sarà per un’altra volta; se l’impresa di Taramello si assume, avrete sempre modo di avvisarmene in tempo; ed anche senza essere tra gli amministratori potrò fare un buon colpo, comperando magari un migliaio di azioni.
Questo era stato il discorso del conte Attilio;