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XI.

Al signor Demetrio, si è detto, il matrimonio della figliuola col conte Spilamberti piaceva e non piaceva; qualche volta gli pareva una maraviglia, e qualche volta un marrone. Benedetto uomo, con la sua volubilità di giudizi e di umori! anche il suo soggiorno a Roma correva la sorte dei suoi cambiamenti continui. Tutte quelle grandezze, tutte quelle magnificenze tra cui era vissuto una quarantina di giorni, lo avevano sbalordito senza persuaderlo; le ricordava volentieri, e poi le giudicava sommariamente con un’alzata di spalle.

— Roma! Roma! — diceva lui — È molto bella; ma Mercurano ha più verde. Laggiù bisogna ammirar sempre, spalancare ad ogni momento la bocca; e si respira male a bocca spalancata. Qui niente vi mozza il fiato; ed anche ci vive della brava gente, che non prova l'eterno bisogno di veder sempre qualche cosa di nuovo, che si contenta del poco e sbarca il suo lunario egualmente. Laggiù c’è stato Enea? e qui c’è passato Annibale. I nostri buoi hanno le corna più corte? e lavorano meglio all’aratro, senza paura di dar del vomere in nessuna colonna miliare. La basilica di San Pietro è immensa; non lo nego, ma io mi trovo al largo anche nella parrocchiale di San Zenone. Non c’è un papa, qui; se ci fosse, sarebbe un antipapa, e chiamerebbe gente. Che bella cosa! anche il Bottegone ci avrebbe il suo tornaconto. Ma ci vorrebbe pazienza; si contenterebbe poi un antipapa di stare a Mercurano? Senza contare che tutti i comuni e comunelli d’Italia ne vorrebbero uno. Teniamoci dunque il nostro arciprete e baciamo basso; non c’è da allungare il collo, se Dio vuole, e nemmeno da fiaccarcelo. —

Quell’idea di fiaccarsi il collo faceva batter le