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va smuovere: in seminario no, prete no; la vocazione non c’era, non voleva venire.
— È il diavolo, — conchiuse don Virginio, avvalorando con la sua alta persuasione i sospetti della signora Placidia, — è proprio il diavolo che ci ha messo la coda. —
Volgendosi allora al caparbio nipote, con aria severa e con accento solenne, gli disse:
— Vuoi dunque essere del diavolo? Va al diavolo. —
E c’era andato, il povero bambino, c’era andato il giorno dopo quella dura sentenza; c’era andato, ma con un correttivo apparente nella destinazione, che fu quella di Mercurano, grossa terra del circondario, dove lo mandarono a cercarsi una occupazione più conveniente ai suoi pervicaci istinti di libertà.
Quel giorno la signora Placidia ebbe un bel moto di cuore. Ficcò uno scudo in un paio di calze, e calze e scudo regalò nobilmente al piccino. Fece anche di più, senza che egli ne sapesse nulla, e forse perciò n’ebbe maggior merito nel cospetto di Dio: recitò una terza parte del rosario perchè il poveraccio avesse a trovare un pronto collocamento, e la sua inesperienza fosse guardata da tutte le «male disgrazie».
Una «mala disgrazia» sarebbe toccata a don Virginio e alla sua sinodale padrona, se si fosse lasciata mano libera al pretore del mandamento, quando venne all’orecchio di quel degno sacerdote di Temi il fatto del povero orfano non ancora decenne, lasciato in mezzo ad una strada dal suo unico parente, uomo facoltoso, e dal suo stesso ministero consigliato, se non forse obbligato, a soccorrere i miseri. Ma non c’era stato bisogno di muovere o di commuovere le autorità competenti. Una donna di cuore, a cui per miracolo era stato indirizzato il piccino, lo aveva condotto al Bottegone, dove il signor Demetrio Bertòla lo aveva preso in prova per suo galoppino, dandogli subito, come per caparra, il soprannome che sapete.
Si diceva il Bottegone, a Mercurano, come a