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X.
Virginio doveva occuparsi di tutto, dar consigli e buone parole a tutti. Aveva bisogno di conforti per sè, e gli cascavano gli altri sulle braccia. Per allora, gli toccava di consolare il signor Demetrio della sua solitudine ed anche della ingratitudine dei suoi figliuoli. Perchè infatti era un tratto d’ingratitudine bella e buona, non voler venire per un paio di giorni a Mercurano, al nido, alla terra natale di Fulvia. Che potere aveva la contessa di San Cesario sull’anima del marito, se non riusciva a persuadergli la necessità di quel viaggio? E che cosa pensava, che cosa sentiva ella stessa se non provava il bisogno di usare di tutta la sua autorità per muovere il marito? O forse non era da sospettare che pensasse e sentisse anche lei come quell’uomo, e che il Bottegone la facesse arrossire? Virginio non aveva più da domandar queste cose a sè stesso; la verità gli si era affacciata alla mente da un pezzo. Ed egli, frattanto, che intendeva la ragione del fatto, egli doveva col signor Demetrio ritrovare argomenti per giustificarlo, per farlo parere la cosa più innocente, più naturale del mondo.
Consolava adunque come poteva quel povero padre, lasciato così lungamente solo dalla sua cara figliuola. E presto ebbe da consolare qualchedun altro, a cui era morta la serva. Sicuro, la serva, o serva padrona; la signora Placidia, ve ne ricordate? quella bofficiona, che aveva mandato via un povero orfano dalla casa del suo unico parente? Sì, costei per l’appunto, soffocata dall’idrope, aveva resa la sua bell’anima a Dio.
Don Virginio Lorini l’aveva assistita con evangelico amore; le aveva amministrati tutti i sacramenti con quella forza d’animo maravigliosa che viene probabilmente dal costante esercizio di un sacro ministero. Ma si è uomini finalmente, non