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— Niente visita a Mercurano.... — borbottava allora. — Neanche per una mezza giornata! Verranno, sì, verranno quando potranno. E Dio sa quando potranno! Il signor conte.... il signor conte.... — (e qui, per prorerire quel titolo, il signor Demetrio enfiava comicamente le gote) — il signor conte, con guella sua aria d’Artabano, vi balenare i suoi «non possumus» come i suggelli d’un segreto di stato. E lei, anche lei, non par più quella di prima. Già si capisce, invaghita del suo maritino.... Se quello dice che è notte, è notte anche per lei, sia pure mezzogiorno. —

Viiginio non metteva parola in quei soliloquii del principale; non cercava di andare al fondo, per indagarne il pensiero. Non ne aveva bisogno, del resto, perchè quel pensiero veniva a galla da sè, e quel tanto che ne appariva fuor d’acqua rispondeva ad un sospetto che già gli era balenato alla mente.

Gli sposi non si degnavano di mostrarsi a Mercurano. Che cosa ci sarebbero venuti a fare, del resto? Un giorno o l'altro, sicuramente; ma quel giorno era lontano, ancora «in mente Dei!» e quel giorno, se doveva arrivare, ci sarebbero venuti come la biscia all’incanto. Ma infine, perchè non intender le cose? Lui conte e lei contessa; non si poteva più astrarre da questa condizione sociale. E là, a Mercurano, c’era il Bottegone, il povero e vile Bottegone, colle pannine, la drogheria, l’appalto e la pizzicheria; che orrore! Ma poi, che pizzicheria! tutta quella volgarità di commercio minuto era fatta per dispiacere maledettamente ai signori Spilamberti di San Cesario, che pure a quel commercio minuto avevano fatto una prima cavata di duecentomila lire. E più ne poteva dare, almeno due volte tanto, quel povero e vile Bottegone. «Ah, ingrati!» avrebbe potuto esclamare, se avesse avuto anima e voce.

Per intanto, era ingrato Virginio a quei due. Il signor Demetrio, disfacendo la sua valigetta, aveva gittate sulla tavola un involtino di carta.

— Prendi; questo è per te; — gli diceva. —