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tornare in patria; ma non a Mercurano, sotto il manto paterno di san Zenone. Andavano a Modena, dove c’erano parenti da salutare; poi a Bologna, dove era il quartiere d’inverno da mettere in ordine; poi per qualche giorno a Roma e Napoli, ma sempre dopo avere abbracciato il babbo carissimo. Il qual babbo, per altro, ad evitar loro una voltata fuori di strada, doveva andar lui a trovarli a Bologna. Quanto a Mercurano, ci sarebbero venuti più tardi, dopo essersi un po’ riposati di tanti viaggi lunghi e brevi.

Al giorno assegnato, il signor Demetrio si mise in moto per Bologna. Stette una settimana laggiù; ritornò solo soletto a Mercurano, come aveva annunziato partendo.

— Come? — gridavano amici e conoscenti, cioè a dire tutti gli avventori del Bottegone. — Non si lasceranno vedere a Mercurano?

— No, cari, per ora non possono; — rispondeva il signor Demetrio. — Hanno tante cose da fare! C’è ancor da visitare Roma e Napoli, dove il mio signor genero ha parenti ed amici: poi ritorneranno a Bologna per finire di metter su casa.... se pure non si risolveranno di levarla. Sicuro, anche questo è possibile; potrebbe darsi che si decidessero per Roma. Bisognerà appunto vedere se la mia cara figliuola ci si troverà bene per l’aria.

— Già, Roma è sempre Roma; — si replicava.

— E Roma guadagnerà la causa.

— Ma, lo prevedevo ancor io. E mi rincresce un poco, — mormorava il signor Demetrio. — Saranno ott’ore di più in istrada ferrata per andarla a vedere.

Questi erano i discorsi del signor Demetrio alle genti, quando pontificava, quando era costretto a ministrare un po’ delle sue ineffabili contentezze paterne ai curiosi avventori del Bottegone, e senza avvedersene usava anch’egli la maschera. Ma su al primo piano, nella intimità della casa, il signor Demetrio era assai meno loquace, e le rotte frasi che gli uscivano di bocca sapevano piuttosto d’amaro.