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sinare da solo; buona occasione per non toccar quasi nulla e restare lungamente con gli occhi fissi sul piatto. La cuoca non se l’ebbe per male, quella volta, e si contentò di sorridere, mentre pur lo esortava a mangiare.
— Almeno per riflessione; — diceva lei, — altrimenti le soffrirà lo stomaco. Capisco bene ancor io che non è giorno da stare allegri. Quella cara signorina che se ne va, così di schianto, da casa sua, e per non ritornarci più!... Creda, signor Virginio, ne sono anch’io sconsolata, che non ho pianto tanto quando è partito il mio Celerino per le Americhe. Ma la prego, mi assaggi almeno di questa frittura bianca. Le è sempre piaciuta tanto! —
Virginio torse le labbra. Quando mai aveva egli mostrato di gradir tanto un piatto, in paragone di un altro?
— Marietta, non posso. Come volete che io faccia onore alla vostra cucina? Son qua tutto solo; non mi sono mai trovato da tanti anni a mangiare da solo. Domani, domani, quando ci sarà il signor Demetrio. A tavola, senza un po’ di chiacchiere, non par buono mai niente. —
IX.
Come Dio volle, anche quella noia ebbe fine, e Virginio si liberò dall’obbligo di giustificare con sciocchi discorsi la sua mancanza d’appetito. Per contro, due ore dopo ritornava al Bottegone il signor Demetrio, poco saldo sulle gambe, ma coi luccioloni che gli scendevano dagli occhi a rigare le guance; ed egli, il povero Virginio, fu costretto alla nuova e non meno molesta impresa di consolare quell’altro.
— Ah, povero me! povero me! — mugghiava il signor Demetrio, lasciandosi andare per morto sul canapè del salottino. — Non credevo di amarla tanto, quella cara figliuola; com’è vero Dio, non lo credevo. Hanno avuto un bel consolarmi colle