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que più verso di levarsi quel ragazzo di torno? E se, avvezzandosi a lui, don Virginio avesse preso a volergli bene? Quell’altro Virginio sarebbe dumque diventato un secondo padrone?

Ma non c’era pericolo, e la signora Placidia andava certamente oltre il segno. Don Virginio aveva parlato in quel modo per farla finita con uno sfogo di malumore che lo aveva seccato; ma del ragazzo ne era pieno fino agli occhi anche lui: e già da parecchi giorni mulinava un certo disegno, che gli avrebbe fatto intonare, quando fosse riuscito a bene, il «Nunc dimittis» di Simeone.

Il disegno portava spesa con sè? No, a mala pena quella d’un foglio di carta e d’un francobollo. Infatti non c’erano posti gratuiti? Non c’erano anime caritatevoli, nella provincia, che li spendevano esse, i quattrini, per fare dei preti nuovi, mantenendo ragazzi in seminario? Don Virginio scrisse a chi bisognava scrivere: tre, quattro giorni d’attesa, e la risposta era venuta, favorevole. Sì, «nunc dimittis»; ed anche «venite exultemus»: la Chiesa si sarebbe arricchita di un nuovo don Virginio Lorini; e la signora Placidia, serva sinodale del più vecchio tra i due, avrebbe potuto ridormire finalmente dei sonni conformi al suo nome.

Ma proprio allora che si cantava vittoria, proprio allora si avvedevano di non aver fatto niente. E come niente, quando si mette il carro avanti ai buoi, non vi pare? Quel ragazzo mingherlino, quasi diafano, alto quanto un soldo di cacio, che pareva non dovesse avere altra volontà che quella dei suoi superiori legittimi, mostrava di averne una, tutta sua, e ben risoluta in contrario. Prete, no; prete, no, era il suo ritornello. E perchè lo volevano mandare in seminario per farne un prete, soggiungeva, pestando i piedi come un indemoniato: in seminario, no; non ci voglio andare, in seminario: piuttosto mi butto nel pozzo.

Lo scoppio era stato così violento, che don Virginio n’era rimasto sconcertato, non trovando lì per lì una parola da rispondere; e la signora