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che io non sono ancora riuscito a fame uno. Ma già, a Mercurano! fatevi milionarii, se potete, non uscendo di qui! —
Virginio stava a sentire; si sorbiva tacitamente ogni cosa, non mettendo parole sue nella conversazione, se non quando era direttamente richiesto del suo parere. Il suo parere, del resto, riusciva sempre conforme ai desiderii del suo principale. Perchè fargli contro? perchè sostenere, fosse pure per pochi minuti, un’opinione contraria? Si discute mal volentieri con chi non vuol sentire ragioni, con chi non farà niente di ciò che gli si potrebbe consigliare. Virginio, inoltre, aveva veduto quel matrimonio piacer troppo a tutti; alla contessa Sferralancia come al suo savio consorte; a Fulvia come alla sua dolce madrina; al signor Demetrio come alla sua bella figliuola: non aveva da mostrarsene scontento lui, ultimo degli ultimi, mettendo una nota stridente in quel concerto di approvazioni.
Perchè poi l’avrebbe messa? con qual diritto? con quali ragioni? C’era un uomo che piaceva a Fulvia: quell’uomo era giovane e bello, nobile e ricco; ricco almeno quanto bastava per assicurare la dote. Fulvia, figlia unica ed unica erede di una invidiabile sostanza, poteva sempre compensare del suo il difetto o la sproporzione della sostanza maritale. Per questo verso, adunque, le cose andavano lisce, e non c’era niente a ridire.
Certo, Virginio seguitava a pensare che quell’uomo non fosse fatto per Fulvia; che quel conte così ricco di nomi e probabilmente di boria, mirasse a fare un buon contratto, per rimettere in piedi una famiglia andata a male, o in pericolo d’andarci. Ma non era sempre così? Quanti nobilucci spiantati non si appigliavano a quell’unico spediente? Perchè, infine, perchè ci sarebbero le genti nuove e le nuove fortune, se non per ristorare le antiche, in una società che continua ad ammirare le antiche e crede tanto ai nomi vecchi, sian pure meno altamente portati di prima, e che i non intieramente vecchi, purchè accompagnati d’un vecchio titolo decorativo, mette alla