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molto nettare, molta ambrosia, e molte scenette, gustose, tutta roba da lasciarsi ai poeti, i soli tra i mortali che abbiano acquistato il diritto di salir sulle nuvole. Mercurano guardava al fatto, tale quale si offriva alla vista; e quel fatto non pareva strano a nessuno, tanto erano avvezzi a figurarselo inevitabile. Lei bella, ricca e signorilmente educata, lui conte, ricco e bello; si erano dunque ritrovati.

Bello sopra tutto, quel conte! Su questa bellezza singolare si tesseva da tutta Mercurano un coro di lodi, che giungeva facilmente all’orecchio di Virginio. Il segretario del Bottegone era infatti ai primi posti per godersi la dolce armonia di quel coro.

— Dunque, signor Virginio, mangeremo dei confetti, tra un mese?

— Si aspettava, sa, si aspettava questo gran fatto.

— La signorina Fulvia, è così bella e così cara! Chi la poteva sposare, se non era un gran signore?

— È veramente degno di lei. Quella Fulvia è un bottoncino di rosa, un giglio d'oro, un occhio di sole.

— Anche lo sposo è bello. Dio, come è bello! — dicevano volentieri le donne, trovandosi insieme all’appalto, per comprare un chilogrammo di sale.

— Tanto bello, — soggiungeva una di loro, mentre stava raccogliendo le cocche del suo fazzoletto da spesa, — tanto bello, che se fosse mio lo vorrei mettere sotto una campana di vetro e fargli la guardia, che non me l'avessero una notte o l’altra a rubare.

— Ed è conte; — diceva un avventore, a cui stavano pesando il suo mezzo ettogrammo di trinciato forte. — Il signor conte Spalla di Lamberto!

— Spilamberti; — correggeva un altro. — Spilamberti di San Cesario.

— Spilamberti Spallamberti, è sempre conte, e il signor Demetrio può tenersene, che un conte sia venuto a chiedergli la grazia d’imparentarsi con lui.