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ebbe veduto dalla sua finestra il signor conte attraversare la piazza per ritornarsene a casa.

La grande notizia si era sparsa prontamente in paese. Non aveva fatto, a dir vero, tutto quel senso che si sarebbe potuto immaginare. Un gran matrimonio era preveduto da un pezzo, fin da quando la signorina Fulvia era ritornata dal collegio di Lodi. «Chi la sposerà?» si chiedeva, vedendola così elegante, e sapendola così nobilmente educata. «Dov’è l'uomo per lei, da queste parti?» Si era sperato che potesse farsi avanti il figlio del sindaco: ma la speranza aveva fatto poco cammino, e il figlio del sindaco aveva continuato a giuocare al pallone, non alzando neppur gli occhi alle finestre del Bottegone. Altri che ci potessero aspirare, presentarsi candidati, non se ne vedevano in tutta Mercurano nè in alcuno dei borghi vicini: dunque? Dunque il predestinato doveva venir di lontano, ed essere un personaggio di gran signoria: quattrini molti, o gran nobiltà, non si poteva uscire di lì. Il personaggio era venuto, venuto per la via donde potevano venire a Mercurano i gran signori, la via del castello Sferralancia; niente adunque d’inaspettato o di strano. Piuttosto, qualche linguaccia.... Sicuro, ci erano per esempio le signorine Cometti che non la risparmiavano a nessuno, donna Fulvia era una gran dama, e faceva le cose alla grande: imitava il governo, concedendo anche lei la pensione di riposo ai suoi impiegati, dando la sua ricca figlioccia in moglie al predecessore di Possidonio Zocchi. Ah ah, la furba signora!

Ma queste erano supposizioni, piccole malignità di zitellone rabbiose, e non uscivano dalla cerchia dei salottini di campagna, dove, come nei salotti di città, si bisbigliano tante cose che non si diffondono poi e non s’ingrossano a rumori di piazza. Il buon popolo di Mercurano, fedele al costume d’altri tempi, considerava i signori come altrettanti dèi dell’Olimpo, cioè a dire di una regione altissima, di là dalle nuvole, dove si capisce che ci debba essere molta allegria,