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il mio parente più prossimo; ed era inoltre il suo padrino, ed egli ne portava il nome ed il cognome. Ma che cosa ci volete fare? Quello non era un uomo come tutti gli altri. Aveva rinunziato al mondo, alle sue gioie, e per compenso anche alle sue seccature; non avendo fatto famiglia sua, doveva egli prendersi un grattacapo, un fastidio, una scalmana per la famiglia degli altri? Oh, infine, chi li fa se li goda. In verità, non c’era più nessuno per godersi quello: di parenti suoi, a farlo a posta, non restava più che lo zio prete, padrino e ricco. Ricco, poi! che ricco, che ricco? Era povero, invece, con quattro palmi di terra; le annate erano scarse; i tempi cattivi accennavano a diventare peggiori. E proprio allora ci voleva quell’altra bocca in casa?

La signora Placidia, serva sinodale e gran bofficiona, che cominciava a soffiar come un mantice quando faceva i venti gradini della canonica ritornando dalla spesa, avrebbe tenuto il bambino per grazia, mettendolo a tutti i piccoli servigi di casa. Ma quel ragazzo non sapeva far nulla. O come era stato allevato? per fare il milionario? Un bel mestiere, certamente; ma ci voleva anzitutto il milione. Quel ragazzo non ne faceva una a dovere; spazzava male, spolverava peggio; non era buono neanche a rigovernare i piatti, e quello che non rompeva sbreccava: che mai sarebbe stato, quando avessero avuto da mandarlo lui alla spesa! Lo zio prete incominciava a rassegnarsi; ma incominciava per contro a perder pazienza la signora Placidia. C’era da perderla, infatti; poiché un giorno, a certe lagnanze di lei, il degno uomo, smettendo di leggere nel suo breviario, aveva pacatamente osservato: «Che ci volete fare, Placidia? Oramai...» E non aveva detto altro: ma un moto della persona, come di tartaruga che volesse nasconder la testa nel guscio, rendeva chiaro il significato della sua reticenza.

Bisognava dunque adattarsi? Bella prospettiva, che per intanto faceva pensare, e molto, e profotodamente, la signora Placidia. Non c’era dun-