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— Che cosa dite? Avete dunque parlato di me?
— Ma no, ti ripeto. Che sospettoso! Dicevo per me; rifacevo un’osservazione che avevo già fatta tra me, vedendo in quella benedetta figliuola tanta prontezza, a dirmi di sì.... per quell’altro. Ma sì, hai detto bene tu, lasciamo questi discorsi, che oramai non fanno e non ficcano. Si rientra in casa? Sono le nove suonate. —
Quella sera il signor Demetrio incominciò a respirare davvero. Che gran peso si era levato egli dall’anima!
— Finalmente! — diss’egli, come si fu messo a letto e ben tirata la rimboccatura del lenzuolo fin sotto il mento. — L’ho sbarcata assai meglio che non fosse da sperare, dopo quella proposta che m’ero lasciata sfuggire di bocca. Bravo ragazzo! Chi sa? ha fatto male a non mettermi con le spalle al muro; e forse avrei fatto meglio ancor io a governarmi con Fulvia, come se fossi davvero impegnato con lui. Ma come persuaderla? Mi aveva fatto una certa smorfia, al solo sentirmi accennare quell’idea! E le dicevo pure di parlarne accademicamente, per conto mio, badando piuttosto all’utile del Bottegone!... Ma lei vuole il suo conte; le si leggeva negli occhi «Babbo, se ti duole, non ne facciamo niente» mi ha detto; «ma se non ti dispiace che io diventi la contessa Spilamberti di San Cesario, ecco, non dispiace neppure a me.» Obbediente, quella cara figliuola, e docile come un agnellino. Già, si capisce, così bene educata! Se ne avessi un’altra, in parola d’onore, vorrei mettere anche quella in collegio. Virginio mi ha dato un buon consiglio davvero. Un po’ di signoria, lo ammetto, è la malattia che si prende in tutti questi collegi; ma infine, dov’è l’istituzione che sia perfetta, in questo povero mondo? Anche quel po’ di signoria fa buon giuoco, o non guasta, quando ci sono i quattrini. E ce ne sono, in casa Bertòla; grazie a Dio ce ne sono. La mia Fulvia sarà una contessa; chi l’avesse mai detto a quella santa donna di Giuditta? Ma è stata lei che l’ha voluta figlioccia d’una contes-