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tuna l’abbiamo qui, sotto mano; il nostro caro Possidonio è un avvocato coi fiocchi. E non si direbbe, a quell’età; pure, già mezza Bologna ricorre ai suoi lumi; quanto a me, non muoverei un passo senza di lui; in tutti gli affari miei e in quelli di mia moglie mette sempre mano lo Zocchi». Vedi dunque, Virginio, che per questo rispetto siamo bene appoggiati. Il signor Momino, del resto, non mi ha nascosto che il conte Spilamberti, nobilissimo com’è, non è ugualmente ricchissimo: farà molto ad avere un dugentomila lire in terre, senza contar la bicocca di San Cesario, che andrà per il buon peso. Di più ci ha una zia, della quale è l’unico erede; una vecchia decrepita, la marchesa.... che so io? la marchesa.... Vattelapesca. Ma il nome non importa, ora; lo sapremo a suo tempo. Dopo tutto, sul patrimonio del conte c’è da assicurare una dote come guella che vorrei dar io; un centomila lire; non ti pare che basti?

— Può bastare, se il fidanzato se ne contenta; — rispose Virginio. — Ma voi potete dare assai più.

— Fosso.... posso.... sì e no.... Mi ho da levar tutto, insieme col tesoro che mi rubano?

— Vi rubano! Perchè dite questo, se potete far patti? Sicuramente, signor Demetrio; potete studiare il modo di aver la figliuola molto vicina a voi, o di esser sempre, quasi sempre, molto vicino a lei.

— È un’idea, questa; non ci avevo pensato. Ma quanto alla dote, capirai, non voglio fare una troppo grossa levata dal fondo di cassa del Bottegone.

— Potete levare anche il doppio; — rispose Virginio.

— E non mi farà comodo; — replicò il signor Demetrio. — Perchè dovrei spogliarmi? Fulvia è figlia unica; salvo i legati, s’intende, i debiti di coscienza o, per parlare più esatto, debiti di gratitudine, mi capisci? -

Virginio non rispose a quell’accenno, che aveva mal suono per lui. Pensava ai legati e ai de-