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dosi d’embrici, si coprisse via via d’ipoteche. Com’era
fredda, la casa! E vuota, poi, che faceva
compassione a vederla! Poche carabattole, perchè
il meglio era stato venduto ai cercatori d’anticaglie:
non una seggiola che si tenesse ritta,
se non era accostata alla parete: il lettuccio,
dove il povero Virginio si sentiva morire dal freddo
nelle notti invernali, cascava da tutte le bande:
era zoppo, sgangherato, e barellava ad ogni
movimento di braccia, il tavolino su cui egli faceva
il suo compito, allo scarso lume di una candela
di sego, sentendosi morir di paura nelle lunghe
veglie solitarie, aspettando il ritorno sempre
tardissimo e le sgridate inevitabili di un brontolone
avvinazzato.
Quando sopraggiunse la malattia del notaio beone, altri dolori, altre angosce, altre paure, non senza digiuni, al bambino. Morto il babbo, pace all’anima sua, erano venuti gli uomini della carta bollata, sequestrando ogni cosa, perfino i libri del piccino, che non ardì farsi vivo. Quanto a lui, povero innocente, lo avevano raccolto con atti di rumorosa pietà le genti del vicinato, per condurlo, dopo un giorno e mezzo di ospitalità piagnolosa, a Bercignasco, un paesello poco lontano di là, dov’era un suo zio prete, e ricco, come ne correva la voce, anzi meglio, come dimostravano i suoi campi al sole e le sue cedole all’ombra, che gli facevano fare ad ogni principio di semestre un viaggio a Parma ed una visita alla regia tesoreria provinciale. Ma che avaraccio, Dio buono! Non aveva neanche pagato il viaggio a quella povera gente che s’era preso l'incomodo di portargli il ragazzo; il suo sangue, dopo tutto! Fate del bene, e ne sarete ricompensati, rimettendoci ancora dei vostri.
Nella canonica di Bercignasco, tutta bianca e pulita come un parlatorio di monache, il piccino era stato ricevuto con evidente freddezza. Certo, non si poteva dire che fosse accolto come un cane in chiesa; ma c’era da immaginare che lo vedessero volentieri come il fumo negli occhi. Pure, quello zio prete era il fratello di suo padre,