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Luisa a Laurenti
«Amico,

«Ho letto attentamente la vostra lettera, e mi sono convinta che avete lo spirito infermo assai più di quello non vogliate parere. Ogni cosa vi tradisce; perfino l’arguzia vi esce stentata dalla penna; il vostro stile è arido e smorto; volete fare un racconto e non riuscite che ad una infilzata di fatti, da lasciarvi indietro una tavola cronologica.

«Io non so le cagioni del vostro male, e quelle che voi dite non sono cagioni, ma segni piuttosto e poetiche dipinture del male. Tuttavia v’hanno rimedi che giovano a tante malattie, e vo’ dirvene uno. Sapete di che cosa avreste bisogno, voi? Di lavorare. Lasciate che faccia un po’ la medichessa, e cerchi di risanarvi a mia volta. Lavorate; scrivete per esempio un libro, voi che sapete tante cose; non vi restate inoperoso, poichè l’ozio, se non è padre di tutti i vizi, come l’hanno detto gli antichi, è certamente il padre di molti dolori.

«E poichè sono venuta, io povera donna, a parlarvi su questo tono, lasciatemi dir tutto. Io pure incomincio a credere che fosse errore qualcosa di ciò che ho creduto, come voi di ciò che avete detto per consolarmi lo spirito. Egli è verissimo, e lo sento io dentro di me, che si possa vivere senza l’amore, ma quando lo si abbia provato, non prima. Ora voi, mio ottimo amico, avete anche un amore a provare, quello della famiglia. Voi siete giovine, atto a far felice una donna e ad esser felice per lei. O perchè non ne trovereste una fra tante, bella, buona e colta, da poterla rifare a vostra immagine, riflesso della vostra anima generosa? Voi l’amerete molto, ed ella vi amerà; i vostri passatempi saranno i suoi;