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La signora Argellani, guidata dal medico, entrò nell’aria soffocata del colombario, e le si strinse il cuore alla vista di quella bassa vôlta, di quelle pareti le quali parevano doverla opprimere, man mano che si fosse inoltrata in quell’andito.

— Ohimè! — disse ella, guardando compassionevolmente quelle nicchie. — Come si ha da stare a disagio qui dentro! E non c’è fiori, non ghirlande, che dimostrino il memore affetto dei parenti e degli amici, a questi poveri rinchiusi!

— Che volete, signora? Si dimentica presto. C’è un’ora di viaggio, a venire fin qua.

— Ah, ecco delle foglie secche; — soggiunse ella; — gli avanzi di un mazzolino!

— Povera Caterina! — esclamò Guido, fermandosi a guardare là dove s’era fermata la signora.

Gli occhi della Argellani corsero allora a leggere l’epigrafe.

— Ah! — disse la donna gentile. — È qui la Caterina Stella?

E rimase immobile a guardare la nicchia, in atto di chi medita, col mento raccolto tra il pollice e il medio, il gomito stretto al seno, e l’altra mano penzoloni lungo le pieghe della veste.

Guido stette taciturno un tratto a contemplare quella statua vivente della medi-