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posti a gradinate gigantesche, giuoco mirabile di linee in prospettiva, pensile orto babilonese di architettoniche meraviglie, che si innalza a guisa di piramide sul fianco della montagna, tutto ciò si vede, non dipinto, non fantasticato, ma vero, ma edificato, scalpellato, a Staglieno. La morte è maestosa lassù; mirabile effetto del complesso, dell’armonia del tutto, contemplata da una giusta distanza.
Io non so (e chi può sapere siffatte cose?) che mala fine faranno le mie ossa. Ma dovunque e comunque io avessi a morire, non vorrei essere sepolto nel camposanto di Staglieno. Colà lo sfarzo opprime; colà il solito orpello della vita, la consueta menzogna, vi seguono nella morte, e non c’è per compenso un filo di verde, di cui un amico, venendo a salutarvi, possa dire: è succo della sua carne. Per me, ho sempre sognato una modesta fossa ed una modesta pietra, sulla cima di un poggio che guardi al mare, a’ piedi d’un albero di pino, il mio albero prediletto, che ho amato da ragazzo pe’ suoi frutti che andavo avidamente sgusciando sul focolare domestico; da giovinetto per le sue resinose fragranze che mi facevano bello il dimorare nella boscaglia; da giovine perchè piaceva a lei, e più tardi perchè in terre lontane mi raffigurava la mia prediletta, la mia sacra terra di Liguria.