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chè non sempre si ha ragione intiera contro la donna che ci offende) aiutano a vivere, e danno, se mi è consentita la frase, il tono, il chiaroscuro alla vita. Ma come odiare la donna gentile, che era innocente d’ogni artifizio, d’ogni lusinga più lieve con lui? E come sperare di farsi amare da lei, da quella donna diventata necessaria alla sua esistenza, se nel cuore di quella donna era scolpita l’immagine di un altro? Pari alla vezzosa Minoide, abbandonata dormente sul lido di Nasso, egli non vedeva scampo, nè uscita, nè speranza, nè tregua.

Uscì finalmente di casa, dopo avere stancata la mente in ogni più disperato proposito. Aveva giurato di non andar più da quella donna; ma come fare? Non era egli il suo medico? E doveva lasciarla morire, perchè essa non lo amava e non lo avrebbe amato giammai? Era dicevole, onesto, generoso, il fuggire da lei?

Questa interna battaglia durò molti giorni. Il povero giovine voleva e disvoleva; malediceva e pregava; rimpiangeva le gioie della materia e la vita sollazzevole che avrebbe potuto fare, ad annegarvi dentro quella delicatezza di sentire che è sempre ragione di tanti patimenti; cercava gli amici e li sfuggiva; andava a consolare l’inferma, poi correva a teatro, dove qualche volta vedeva il Percy, e si struggeva