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XXIII.

Intenderà l’agonia di Guido Laurenti colui il quale s’è violentemente strappato dalla sua terra, col duro proposito di non tornare mai più.

Triste cosa, acerbo strazio dell’anima sferrare dal lido e dover dire: ecco, è l’ultima volta che io vedo tutto ciò! La rondine lascia per terre lontane il nido saldato con tanta assiduità di cure al trave della casa ospitale; ma come l’anno è trascorso, la rondine torna a pispissare, con l’ali aperte e ferme, dintorno al nido abbandonato. L’uomo che lascia la patria, a lui cara per le consuetudini della vita, cara per la ricordanza dei dolori, l’uomo che rompe di tal guisa la trama sottile de’ suoi affetti, soffre, io mi penso, come la pianta che, divelta dal suolo, lascia nel profondo le sue più dilicate radici. Il cuore sanguina, e il patimento non si disacerba col piangere; regna anzi sul volto una calma severa, ma dentro ribolliscono, lava ardente, le collere tutte, i rancori, i furori dell’anima.

La notte era alta, e la vaporiera s’innoltrava brontolando nella fosca distesa del mare. I passeggieri, gente assai tenera della propria salute, erano scesi nel salotto per non buscarsi infreddature. Guido solo rimaneva sul cassero di poppa, seduto, colla testa sprofondata nel cavo degli omeri, che si appuntellavano forte al capo di banda