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tile inferma tutti i giorni, senza pigliare quella tal simpatia che deriva dalla intrinsichezza. Ecco perchè....»


— Perchè... perchè coteste sono fanciullaggini, e coll’aria di voler nascondere il vero, farò ridere due volte, in cambio di una. Un nobile dolore ha egli da aver vergogna a mostrarsi? Percy vedrà la lettera! La veda pure. Io starò disgraziatamente ancora parecchi giorni a Genova. Venga egli a sorridermi sul viso, e vedrà, in fede mia, che bel giuoco! Suvvia, un’altra lettera, e sia l’ultima.


«Signora,

«Perdonatemi! Io partirò senza venire a dirvi addio. In verità, non mi sento di rimetter piede in quella palazzina gialla dove ero entrato come un amico, e dove sono rimasto come un innamorato. Perchè non ardirei confessarvelo? Vi ho amato, sì, vi ho amato, e voi forse ve ne sarete avveduta. Voi non amate me, e di cotesto mi sono accorto ben io. Donna gentile, perchè verrei io a piangere a’ vostri piedi, cagione di rammarico per la vostra anima pietosa? Noi non possiamo comandare al nostro cuore; nè voi voltarlo ad un affetto che non era spontaneamente venuto, nè io a soffocarvi il mio, nato vigoroso, ribelle ad ogni argomento della ragione.

«Perdonatemi dunque, o signora, e siate felice. Un giorno, pensando allo scomparso amico, non ricorderete ch’egli.... che il suo affetto vi abbia mai cagionato un dolore....


— Legga pure il Percy questa frase, e sorrida, se gli dà l’animo! gridò il giovine; quindi seguitò a scrivere:


«La è questa, l’unica consolazione che porterà seco, in terre lontane, il vostro

«Guido Laurenti