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dusa, sicchè egli non ebbe nemmanco la forza di muoversi dalla scranna su cui stava seduto presso la marchesa Bianca di Roccanera.
Povero regnatore di salotto! Egli era da qualche tempo assai giù. I suoi vagheggiamenti non gli avevano fruttato un bruscolo presso quella superba, che gli usava sempre le solite cortesie, ma gli faceva scorgere molto chiaramente che il suo gli era tempo sprecato. La marchesa Bianca non amava altri che sè; il leggiadro Percy, diventato suo adoratore, aveva saziato la sua vanità, e non c’era per lei più altro da spremerne. Per tal modo egli era capitombolato nel fosso, innanzi di afferrare i bastioni, e non è a dire com’egli fosse avvilito di quello smacco. La vergogna, soltanto la vergogna, lo riteneva colà, argomento alle beffe dell’universale, dispettoso, ingrugnato con lei, che fingeva di non addarsene punto, in quella che faceva buon viso alle cavalleresche gentilezze del duca di Marana y Cuelva, un giovine spagnuolo che correva per suo diporto da un capo all’altro del mondo, e si riposava un tratto a Genova di un suo recente viaggio alle Indie.
Donna di buon gusto, e di fino accorgimento, quella marchesa Bianca! Senza muoversi, e sopratutto senza commuoversi,