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badando a non strappar loro le penne maestre; ripuliva dal vischio le loro graziose zampine, e li rimandava con Dio, in nome di quella bellissima dama che era sparita pur dianzi.

Poco stante capitava il babbo. — Orbene, non c’è stato nulla? — Nulla, babbo; uno sciame di lucherini ha dato nei rami, ma la pania non teneva e non ho fatto a tempo per coglierli; se ne sono volati via.

E il babbo, che notava i piumini sulle verghe e la buona presa del vischio, a non credere un’acca dei discorsi dell’adolescente, a sgridarlo un tratto, ma compiacersi in cuor suo delle invenzioni del figlio, pur promettendo che non l’avrebbe più condotto ad uccellare con lui.

Bei tempi, bei tempi! e chi non ha di somiglianti memorie, piccoli quadri dell’adolescenza, che si richiamano, si ridipingono e s’incorniciano tra le meditazioni dell’uomo adulto, belli di quella velatura ineffabile che distende sovr’essi la lontananza degli anni?

Ed ecco come la vista di quel pino, sull’ultimo lembo della prateria sottostante, faceva fantasticare Laurenti, seduto presso il suo muraglione, colla sua Eneide tra mani.