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nioni, donde non c’erano santi che potessero cavarli.

Il santo era qualche volta Guido Laurenti, cioè quando il padre suo si partiva di là, lasciandolo solo nella tesa. L’adolescente non pensava più agli uccelli. Accoccolato nel suo nascondiglio, col viso appuntellato sulle palme, e gli occhi nel vano dell’apertura, stava fantasticando una vaporosa forma di donna; vedeva la castellana, o la fata dei luoghi, scendere dalle rovine di un antico maniero e sedersi ai piedi di quel pino, e sè medesimo, nobilmente vestito di velluto, con le calze divisate di bianco e di rosso, il giustacore serrato ai fianchi, una berretta piumata capricciosamente posta a sghembo sui biondi capegli, stare a’ piedi di quella gran dama, baciarle per tutti i versi quella mano bianca ch’ella gli aveva abbandonata tra le sue, e canticchiarle la sua prima ballata d’amore.

Il dar d’uno sciame di lucherini nell’albero, lo sbatter dell’ali che sempre più si invescavano sulle verghette fallaci, il pigolare doloroso dei poveri pennuti, lo risvegliavano dalla sua estasi. Sbucava sollecito dal suo capannuccio, si arrampicava sull’albero, e andava a spiccare i tapinelli,