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dato fondo nella rada di Tunisi, o poco presso, e andava a caccia su per la costa, prevedendo l’apparizione della cacciatrice divina che lo avrebbe fatto andare bel bello fino alle porte di Cartagine.

Senonchè, per effetto di distrazione, egli s’era fermato a mezza strada. Faceva quattro esametri di viaggio, e poi si baloccava a veder volare una mosca. I balsamici effluvii, il tepore dell’aria, il cheto remeggio di una nuvoletta rosea nelle diafane lontananze dell’orizzonte, quei raggi obbliqui che andavano a rifrangersi sui vetri delle finestre e sulle banderuole dei tetti circostanti, lo distoglievano ad ogni tratto dal primo libro dell’Eneide. Si rimetteva a leggere alcuno di quelli esametri divinamente armoniosi, scandendone a voce sommessa i melodici numeri (i latinisti che mi leggono capiranno benissimo questa voluttà delle voluttà), ma al primo rompersi del periodo in un emistichio del verso seguente, egli ricadeva subito nella sua contemplazione.

Gira, rigira, di fermata in fermata, gli occhi di Laurenti erano andati a posarsi su d’un bel pino domestico, che sorgeva nella villa sottostante, come una rarità di