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ciulli sul prato, aveva rivelato a Guido Laurenti gli abitatori di quella palazzina gialla, il cui tetto rilevato a quattro acque sbucava, là in fondo, da una selva di magnolie e di allori.
Ma un giorno (ripiglio finalmente il mio ma e il mio giorno) Laurenti ruppe la consuetudine, e andò nel pomeriggio a sedersi presso la sua edera e presso l’olmo dei vicini.
Mai giorno di primavera era stato così serenamente bello; mai raggio più tiepido di sole aveva svolte per l’aria, in sottilissime vaporazioni, le fragranze dei fiori. Bei giorni, momenti beati, nei quali l’uomo, penetrato da quei raggi di sole, rallegrato da quelle fragranze, si sente vivere con voluttà, dimenticando un tratto la grave molestia dell’esser nato!
Guido aveva un libro tra mani, l’Eneide di Virgilio; un libro di scuola, che aveva tradotto da capo a fondo sulle panche di prima Umanità, e che però non avea più da leggere per amor di novità, ma che amava pur di leggicchiare a spizzico, nelle ore di ricreazione. E già, sostenuta insieme con Enea quella brutta burrasca suscitata dal consiglio di Giunone, egli aveva