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quale erano cucite quelle tasche, lo guidava fuori del laberinto, e di costura in costura lo portava a passare la Manica. Una lettera, un sigaro, erano accidenti importantissimi del viaggio. La scoperta di un ultimo scudo nel taschino del panciotto, era un amico, un compaesano trovato a mezza strada. Il conto del sartore che lo aveva vestito, poteva adombrare benissimo un incontro di briganti che lo avessero spogliato. E giù di questa conformità. Il padre aveva letto, aveva riso, ed aveva mandato qualche altro migliaio di lire a suo figlio, perchè andasse a viaggiare da senno.

Il racconto era condito di piacevolezze, di argute considerazioni, di modeste reticenze. La signora Argellani, da distratta si fece attenta, si lasciò andare in balìa di nuove sensazioni, e viaggiò anch’essa col suo medico, diventato di punto in bianco umorista, sulle orme di Enrico Heine e di Giuseppe Revere.

Suonarono le dieci. La negra cura per quel giorno era vinta; il medico otteneva il suo primo trionfo, senza rullo di tamburi e senza suono di trombe.

Nè fu la sola. Il giovanotto, diventato prudente come la serpe della Scrittura,