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dicevano una cosa sola; la luna sollevava nei loro cuori la marea di un solo sentimento; tra le loro contese, tra gli sdegni e il volar degli strali, danzava sempre, si rigirava uno spirito folletto colle alucce di farfalla, il quale spandeva filtri amorosi nell’aria e avvelenava le punte col miele.

Più tardi, non si guardava più la luna, non si contendeva più di nonnulla; era in quella vece un intimo favellio, un ricambio di dolci pensieri, una melodia susurrata, sospirata anzi, nella nicchia d’un sofà di velluto, colle mani strette nelle mani, gli occhi incantati negli occhi. Poi la lettura di un libro, spesso interrotta, o insensibilmente trasmutata in un’estasi; poi l’attesa di lui, fino a tanto che ella si fosse vestita per andare a teatro: poi un mondo di cose, e tutto in quell’ora, tutto ricordato in quell’ora, riassunto in quell’ora.

E quell’ora, già consacrata da tanto affetto, era vuota. I bei giorni erano finiti; il nodo si era spezzato; ma quell’ora non poteva essere dimenticata, per le consuetudini che essa richiamava alla mente.

A me duole di averlo a dire, perchè mi si darà forse, ed immeritamente, nota di materialista. La consuetudine è un forte