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nelle quali l’arte rivaleggia colla natura, e fa, Dio mi perdoni, pensare assai più che la natura viva.
Fu prima cura di Laurenti mettere la mano al polso e quindi sul cuore della supina, per accertarsi che la vita non l’avesse abbandonata. Ma giammai indagine di medico fu fatta con più casta riserbatezza. Egli non aveva nè occhi nè senso che per esplorare le pulsazioni del sangue e i battiti del cuore. E nulla sentì; solo un lieve sudore che gli inumidì le mani additava il patimento di quella povera carne senza colore, e insieme col patimento la vita.
Lo stato d’anemìa era evidente, e una breve osservazione da vicino raffermò nell’animo di Laurenti il concetto ch’egli si era formato pochi giorni innanzi, vedendo la signora Argellani da lunge. L’anemìa, questo brutto male che (parlo agli ignari di medicina e di grechi paroloni) significa privazione, scemamento considerevole della sostanza del sangue, era visibile nello scoloramento dei tessuti, nella scomparsa dei vasi sottocutanei; donde l’estremo pallore della pelle e delle membrane mucose delle labbra, nelle quali qualche vaso filiforme portava a mala pena un po’ di color roseo sbiadito.