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di popolo, e noi non dobbiamo giudicare della loro importanza d’allora con le nostre cognizioni d’adesso.

Molti erano i nomi dei luoghi; e taluni di essi ebbero fortuna, perchè vi crebbe l’abitato, fino a diventare un ceppo di case, e il ceppo di case un piccolo borgo di montagna; altri non rimasero ricordati che sulle carte del tempo, nei diplomi imperiali, negli atti notarili delle curie episcopali, e gran fatica si dura dagli eruditi moderni per identificare nei punti conosciuti di presente quei nomi antichissimi di corti e di ville, nomi anche spesso errati, nella trascrizione di un cancelliere Eriberto, o d’un Pietro di Cuma, i quali “rogavano„ i loro atti a Roma “feliciter„ sì, per la loro salute, ma non egualmente per la esattezza ortografica dei nomi di tanti luoghi lontani, ad essi riferiti nella forma vernacola, e da essi tradotti in un capriccioso latino.

Ma non ci perdiamo in inezie: ritorniamo a Marbaudo, che aveva capita la ragione delle troppo frequenti gite di Rainerio alla casa di Dodone.