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simo; egli sarebbe stato un amante molesto, un geloso feroce. L’avrebbe adorata: gran mercè! Tanti altri l’avrebbero adorata egualmente.
E quel geloso, non dandole che l’amor suo, l’avrebbe sottratta ad ogni sguardo, costringendola al modesto ufizio di far progenie di dldioni. Sorte non invidiabile, per verità!
Getruda sapeva, per molti esempi che aveva dintorno, come la gioventù si perda e la bellezza sfiorisca, nelle cure della famiglia, dove la ricchezza e l’ozio fastoso non aiutino a correggere i danni della maternità e le ingiurie del tempo.
Quante leggiadre spose di Croceferrea e delle terre circostanti non si erano precocemente avvizzite negli stenti della vita campagnuola! Quante belle labbra vermiglie non avevano perduta in pochi anni la loro graziosa accompagnatura di perle! Queste erano volgarità; ma dovevano pure tornarle a mente, nel meditare che ella faceva su quel tema fastidioso tra tutti. Ed è un tema a cui si pensa necessariamente, quando si è belle e gelose della