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nire lassù, e un’altra, egualmente lunga, ma assai più difficile, per ritornarsene agli Arimanni. Per solito, nelle grandi stalle del vecchio Dudone, la veglia finiva a mezzanotte. E allora l’animoso Marbaudo si congedava come tutti gli altri. Ma quelli abitavano nei pressi; e in pochi minuti, per sentieri battuti e conosciuti, si riducevano alle case loro; laddove Marbaudo, avviandosi allo scarso lume delle stelle, quando pure si vedevano stelle, doveva ritrovare per declivii di colline, per forre e burroni, un mutevole sentiero sulla neve vecchia, o indovinarne un altro sulla nuova, col pericolo continuo di sdrucciolare in qualche fossato, o di abbattersi nel lupo; cattivo incontro, in quelle ore; e pessimo, poi, se era un lupo mannaro.
— Marbott è un grande diavolo, — si diceva; — egli non ha paura nè dei lupi creati da Domineddio, nò dei lupi mannàri, sotto la cui pelle vanno in volta le streghe. Agli uni e agli altri sa assestare una buona legnata, e nel dubbio che non basti, v’aggiunge il i segno della santa croce. — Barrili. Il prato maledetto. 4