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dente, non poteva esser altri che l’imperatore. Ma ben altro aveva da fare, per allora, il giudice coronato.
Poc’anzi, l’imperatore era stato Ottone II, cui davano troppi pensieri, da principio la rivalità del cugino Enrico di Baviera, proclamato imperatore contro di lui dal vescovo di Frisinga, e poi la guerra dei Greci, richiamati in Italia, contro di lui, da papa Bonifazio VII. A lui, morto in giovane età, succedeva Ottone III, un bambino, la cui minorità doveva essere insidiata dalle rinnovate pretensioni di Enrico di Baviera, e turbato l’impero dalle guerre continue dei grandi vassalli. Erano tempi grami, e poco poteva provvedere ai lagni di lontani supplicanti il tribunale del sacro Palazzo.
Così, nell’assenza temporanea d’ogni autorità superiore, la giustizia era amministrata in ultimo appello dai conti. E i figli d’Aleramo, come conti di marca, o di confine che vogliam dire, non riconoscevano autorità giudicante sopra la loro propria, che esercitavano tuttavia nel nome dell’imperatore. E dormi-