ma era sceso a vivere più sotto, in riva alla Burmia, a mezza strada tra i prati di Ferrania, dove ancora non era sorta l’abbazia di tal nome, e la terra di Cairo, che allora incominciava a riprendere per opera feudale un poco di quella importanza che aveva avute in altri tempi sotto il dominio romano. La casa dov’egli viveva, insieme co’ suoi vecchi, aveva nome dagli Arimanni, e il nome ricordava che là era vissuta una famiglia di liberi uomini dell’epoca longobarda. Ma di quei liberi uomini solo il nome era rimasto; i nuovi abitatori di quella casa non erano che poveri aldioni, chiamati colà, trapiantati per comando del signore, a far fruttare un manso, o podere, del conte Anselmo; il qual manso era certamente uno dei più ubertosi della vallata. Ma non c’era pericolo che i parenti di Marbaudo ci diventassero ricchi. Lavoravano come bestie da soma, e i lor sudori andavano a vantaggio del padrone, senza dar loro altro guadagno che la sicurezza del pane quotidiano. Pure, per i tempi che correvano, era già molto aver quello, e