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E balzato in arcioni, spronò il suo morello, che mise un nitrito d’allegrezza,come se avesse capito il discorso del suo signore, e godesse di non aver più a far sosta su quel poggio, dove non era stato neppure lui senza fremiti di terrore.
Triste, muto, non osando voltarsi più indietro, il conte Anselmo prese la via di San Donato.
Quando fu alla discesa, donde non si poteva evitare la vista del prato su cui era stata fatta la gara, egli e i suoi militi maravigliarono, scorgendo il maggese falciato per modo che gii steli rimasti a giuste distanze più lunghi segnassero una sequela di cerchi concentrici.
Uno solo aveva falciato a quel modo: e con qual falce smisurata, perdio! La maraviglia dei riguardanti si convertì nel più alto stupore, quando videro che il fieno abbattuto era già secco e giallo, come se fosse stato sette giorni al sole di luglio.
— Che è ciò? — disse il conte in cuor suo. — Gli strani prodigi annunzieranno davvero la fine del mondo? —