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Marbaudo capì che il povero vecchio aveva smarrita la ragione. Nondimeno, tentò ancora di richiamarlo alla memoria delle cose.

— Dodone, ti prego, raccogli i tuoi pensieri. Non vieni tu ora dalla stanza di tua figlia?

— Vengo, sì, — rispose Dodone, — vengo dal bosco; vengo da abbattere gli alti pini sottili, per farne pali alla vigna.... alla vigna del conte. È del conte, la vigna; e dica Ansperto quel che gli pare; la vigna è del conte. È il più forte, quegli che possiede; è il più forte, quegli che beve.

— Padre mio.... ti prego!...

— Padre! chi sei tu, che mi chiami padre?

— Non mi conosci più? Son Marbaudo, quegli che tu amavi chiamar figlio, e che sperava....

— Speravi? Non sperar nulla, — interruppe Dodone. — Anche il pino sperava, povero pino! sperava di durare all’aria aperta e di crescere al sole. Ma vedi la mia scure? Essa lo ha inesorabilmente colpito. —

Gli occhi di Marbaudo corsero alla scure, che Dodone serrava ancora nel pugno.