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Capitolo XVIII.
Di un tristo ballo che fece il conte Anselmo, e come al vecchio Dodone dèsse volta il cervello.
Al giovanotto degli Arirnanni il misterioso falciatore si era svelato meglio che non avesse fatto agli altri. O forse è da dire che Marbaudo, guidato dalla potenza dell’amor suo, non si era lasciato ingannare come gli altri dalle menzogne del nemico.
Già nella falce che si allungava, recidendo l’erba dal centro ai confini del prato, egli aveva fiutata la malìa; nè gli era parso che Legio dicesse il vero, vantando le virtù prodigiose del salcio.
A tutta prima, vedendo perduta Getruda, avrebbe voluto scagliarsi contro il vincitore. Ma come tener testa al principe delle tenebre? A quella impresa non si poteva accingere che un santo; ed egli, Marbaudo, non era che