Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 305 — |
chio e stringendo sempre più il povero conte, un alto fragore di trombe e di timpani percossi veniva dalla casa di Dodone, diffondendosi intorno.
— Che e ciò? — disse Anselmo, turbato.
— È l’inno di nozze; — risposero gli uomini rossi, seguitando a ballare. — La bianca Getruda è finalmente di Legio.
— Perchè chiamarlo così, servitori malnati? — gridò il conte Anselmo. — Non è egli Costantino Macèdone?
— Ah sì, Costantino Macèdone, e quanti altri nomi gli piace di prendere, quando viaggia sulla faccia della terra! Ma il suo vero nome è Legio; e noi siamo suoi spiriti, particelle della sua medesima essenza. —
Il conte Anselmo si vide perduto. Aveva inteso finalmente chi fossero quegli uomini rossi, e a qual principe formassero corteo.
— Ah! — mormorò egli, levando gli occhi al cielo in atto supplichevole. — Signore Iddio, abbi compassione di me! —
Frattanto la moltitudine cresceva, stringendo la cerchia, e ballava e cantava in cadenza.