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entrava nella casa con lei; e dietro a loro i donzelli, con le coppe d’oro e d’argento, con gli stipi d’ebano, incrostati d’avorio, con le custodie di cristallo e di madreperla, in cui brillavano le gemme, i vezzi, i monili. Getruda sparì nel vano dell’uscio, e con lei la montagna di luce che le fiammeggiava al sommo del petto.

— Lasciatemi passare, — gridò il conte Anselmo, tentando di rompere la cerchia. — Lasciatemi passare, o ch’io....

— Ah bel conte! bel conte! Tu non sei generoso. L’hai presi, tu, i baci? Lascia che altri n’abbia la parte sua. Tu non sei neanche giusto, bel conte! La donna è di colui che in due ore ha falciato tutto il maggese. L’hai tu fatta la legge? Ti sei tu sostituito all’autorità di un padre, per maritar Getruda a tuo talento? La tua legge è contro di te; la tua autorità ti condanna. Dodone, intanto, il vecchio Dodone, è andato sui monti, e sfoga il suo dolore atterrando alberi a colpi di scure. Vuoi tu andare con lui, bel conte? vuoi tu andare con lui a smaltir la tua rabbia? —

Mentre la turba cantava, ballando in cer-