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lio e di Teofania, come zio del giovane Ottone. Quali altre grandezze non poteva serbargli il destino? Forse egli stesso, un giorno, avrebbe cinto il diadema imperiale.

E quel principe di Bisanzio, figlio, fratello d’imperatori, era là per Getruda di Croceferrea, per lei, povera figlia d’aldioni, ma famosa, ma contrastata, per il dono celeste della sua maravigliosa bellezza. Quale giornata per lei!

Irritata poc’anzi, avvilita di dover essere sortita in moglie ad un oscuro falciatore, ridotta a non isperare salvezza che dagli artifizi di un povero castellano, ella piaceva al nobil conte Anselmo, al signore di tante castella, preferibile sì, e di gran lunga, al castellano Rainerio, ma pur sempre marito di Gisla, anch’essa celebrata per grande bellezza, e troppo temibile rivale, quando nel cuore di Anselmo venisse meno l’amore della novità.

Gran mercè, la signoria di Merana! Ciò che Anselmo le avrebbe dato, non avrebbe anche potuto riprendere? Questo ella pensava, tiepida ancora la guancia dei baci di Anselmo,