Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 292 — |
tone II, che Iddio abbia nella sua gloria, e madre ad Ottone III felicemente imperante sulle terre d’occidente.
— Che frottole mi spacci tu ora? — gridò il conte Anselmo, aggrottando le ciglia. — Hai già alzato il gomito, stamane? È il tuo costume, lo so; ma non era giorno da ubriacarsi, quest’oggi!
— Messer conte, io ti giuro per tutte le potenze del cielo che non ho bevuto più d’una misura di vino; ed anche a piccoli sorsi, di tanto in tanto, per rinfrescarmi l’ugola. Quello che io ti ho detto puoi crederlo come se fosse una pagina dei santi Evangelii. Ma ecco il nobilissimo Costantino Macèdone; egli stesso ti dirà....
— D’esser lui, proprio lui; — entrò a dire Legio, che compariva in quel punto nell’aia, e balzava d’arcione, per muovere incontro ad Anselmo.
Legio non indossava più i panni modesti con cui si era presentato alla gara dei falciatori; ma vestiva nobilmente di porpora, e portava sugli omeri un mantello ricamato di oro e di gemme.