Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 272 — |
Certo, se avesse potuto durarle fino a sera con quella celerità di lavoro e con quell’inganno continuo ai suoi muscoli, in capo ad un giorno avrebbe falciata la metà dello sterminato maggese.
E frattanto, se l’orecchio non lo tradiva, altri lavorava con una rapidità pari alla sua, se non forse maggiore. Gli giungeva dal mezzo della valle un suono sottile, prolungato, a guisa d’un sibilo, che ricordava per l’appunto quello di una gran lama scorrente.
Di sicuro, quello era il suono d’una falce. Ma che taglio faceva essa mai, se il suono era così lungo? Inoltre era un suono lontano lontano, che dal mezzo del prato pareva andare al lato opposto, verso la sponda sinistra del fiume.
A tutta prima se n’era spaventato, immaginando che il nuovo venuto avesse fatto in breve ora così grande cammino da giungere verso il centro del prato.
Sicuramente, per correr tanto, non aveva fatto troppo largo lo squarcio; ma era sempre un bel lavorare, quell’avvicinarsi al cen-