Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 263 — |
tronco di salcio, lungo e diritto come una lancia, e lo tagliò con quattro colpi di un pennato, che portava alla cintola; quindi, svettatolo e levatine d’un colpo netto i ramoscelli minori, si pose il tronco sotto il braccio, per ritornarsene verso la chiesuola.
Così rifacendo lemme lemme il cammino, seguitava a rimondare il tronco, a scortecciarlo, a levarne i nodi, per adattarlo poi alla staffa della sua falce.
Quando giunse davanti a Rainerio, il suo lavoro era quasi finito.
— Ecco qua, — diss’egli, volgendosi agli scalimi, — un bel manico di falce.
— Legno troppo fresco! — osservò uno di loro. — Ti si piegherà tra lo mani.
— Eh, ci vorrà pazienza; — rispose Legio. — Non si può mica aver tutto.
— Ed anche è troppo lungo; — notò l’altro scalano. — Dovete lavorar tutti con falci della medesima lunghezza.
— Contentiamo questo degno scabino; — disse Legio, troncando d’un colpo una buona metà della sua lancia. — Va bene cosè?