Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 257 — |
Con quest’artifizio si confidava il castellano di soverchiare il povero Marbaudo. Quanto al Matto, non se ne dava molto pensiero; ma ad ogni modo, quel che valeva contro Marbaudo, poteva servire anche per quell’altro competitore.
Fatte le sue ultime esortazioni ai due scherani, Rainerio andò verso la chiesuola di San Donato, a raggiungere gli scabini.
Trovò laggiù che i due falciatori si erano messi alacremente a lavoro.
Marbaudo, a occhi veggenti, faceva più svelto del Matto; in capo a mezz’ora si era già posto davanti dugento e più bracciate di fieno. E la sua falce andava, andava via recidendo a semicerchio, ch’era una maraviglia a vederlo.
Maraviglia per gli scabini, s’intende; non per il castellano Rainerio, che n’aveva in quella vece gran noia.
Per un diavolo che non si era presentato, ecco gliene capitava un altro che lavorava per due. E se in mezz’ora aveva già fatto il doppio di quello che in eguale spazio di tempo