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militi, nelle grandi cacce di Millesimo, e di Rocca Vignale, al suono festoso dei corni, preceduto da mute impazienti di cani da giungere.
In quei momenti era un barbaglio di colori, uno scintillio di armi, uno sventolio di mantelli e di penne, tra cui si smarrivano le figure dei cavalieri.
Getruda non ardiva ancora pensarci, ma già sentiva confusamente in cuor suo che quella era la vita, e tutto l’altro un invecchiare, aspettando la morte.
E si paragonava allora ad un vecchio rovere che sorgeva da una balza, dietro la casa di Dodone; rovere solitario, condannato dal caso a nascer colà, mal nutrito dall’arido galestro dove aveva profondate le sue negre radici, triste al soffio gelato dell’inverno, malinconico ai primi tepori dell’estate.
Così dunque avrebbe ella dovuto vivere, radicata nella terra di Croceferrea, senza speranza di liberarsene mai!
Peggio ancora, quando suo padre l’avesse data in moglie ad alcuno di quei rustici al-