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animo, per fargli interpetrare come una tacita esortazione lo sguardo attento e più lungo del solito, che a lui rivolgeva la figliuola di Dodone, sotto il fioco lume della lanterna sospesa al trave della tiepida stalla. E il povero Marbaudo non aveva mica immaginato cosa che fosse disforme o lontana dal vero. Per allora, la bianca e superba Getruda non vedeva che lui. In quell’umile ceto di innamorati egli solo regnava; doveva essere notato egli solo. Ma su tutta la sua classe imperava, per l’autorità avuta dal conte, il castellano Rainerio. Felice castellano, se nessun’altra autorità comparisse, superiore alla sua! Ma su lui, e su tutti i castellani della Langa, che amministravano la giustizia in nome del conte, e cavalcavano gloriosi e superbi lungo le valli, imperava un uomo più giustamente glorioso, più giustamente superbo: il conte Anselmo, su cui stavano due sole autorità, egualmente lontane ed invisibili.
Getruda non lo aveva veduto mai da vicino; e da lungi a mala pena due volte, mentre egli passava in mezzo allo stuolo dei suoi