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forse avviene perchè nei discorso di un matto vien voglia a noi, curiosi animali, di cercare quel tanto di saviezza che ci han lasciato le vecchie consuetudini della ragione? Passiamo questo problema ai filosofi; essi lo scioglieranno, come ne hanno sciolti tanti altri.
Rainerio pensò che il matto fosse men matto di quanto si credeva comunemente. Se fosse stato solo, lo avrebbe castigato lui, l’insolente discorritore, matto o savio che fosse; ma c’era il conte, e davanti a lui non si poteva aprir bocca.
Del resto, il castellano pensò ancora tal cosa che doveva rimettergli un po’ di fiato in corpo: pensò che la supposizione impertinente del matto avvalorava in buon punto i suoi stessi ragionamenti.
Legio, come diavolo, altro non poteva essere che un sogno del suo spirito infermo. E il sogno, sicuramente, si era formato in questa guisa. Gli avevano riferito di un tale, pazzo davvero, o scimunito, che si era vantato di poter falciare il prato in un giorno. A lui quel vanto aveva fornito il pretesto di accorciare il termine della prova. Il pretesto, naturalmente,