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veretto fu preso da una grossa paura e cadde tramortito sull’erba, dove si trovò, con suo grande stupore, la mattina seguente.

— Ho capito, Biagio, ho capito. E voi dovreste farne una ballata. Dovevate essere notaio; dovreste esser anche poeta. I notai, da ser Jacopo da Lentino in poi, ebbero sempre commercio con le Muse. Fate dunque la vostra ballata, mio caro Biagio, ed abbia per titolo: Le nozze del diavolo. Ma qui c’è il prato del Diavolo, e ci dev’essere la storia per dar ragione delle nozze. —

Biagio, allora, con assai più gentilezza che non ne meritassero i miei frequenti motteggi, mi raccontò la leggenda del prato del Diavolo, com’egli l’aveva avuta dalla tradizione orale de’ suoi vecchi.

Era una storia di falciatori, che si erano messi in quattro a falciare quel prato, giustamente pensando che quattro giorni sarebbero stati a mala pena bastanti per mandar l’opera a compimento; laddove uno solo, il diavolo in persona, falciava l’intero prato nello spazio di un’ora.