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quando non potevano farne di meno, o quando avevano mestieri di lui, per difendere e custodire i lor privilegi. Nell’un caso e nell’altro, s’intende, erano oboli d’oro, che bisognava sempre pagare alla Camera imperiale, che sarebbe come dire all’erario di quei Cesari imbarbariti.

Non siamo ancora al tempo dei vicarii imperiali, stabiliti nell’intento di ridare una certa apparenza d’unità alla compagine sconnessa della forza o del caso. Nè siamo ancora all’infierire della contesa tra l’Impero e la Corte papale. Perciò il discreto lettore consentirà che noi lasciamo questi elementi nuovi fuori del quadro modesto che abbiamo preso a tratteggiare. Noi dobbiamo restringerci a considerare il grande Aleramo, anzi la spartizione avvenuta dei suoi dominii tra i due figliuoli di lui; perchè quei dominii non ebbero la sorte di diventare uno Stato, e rimasero piuttosto un patrimonio; o meglio, non rimasero neanche in tal forma. È la sorte dei patrimoni di andare in dileguo, quando incominciano a spartirsi tra un paio di eredi.